venerdì 26 aprile 2013

Stanca di rigirarmi nel letto in cerca di un sonno ormai svanito, e sopratutto stanca di svegliarmi in piena notte, ho deciso di far iniziare questa giornata alle 4. Mi preparo un caffè, decaffeinato of course, mi siedo nella poltrona rossa davanti alla veranda e aspetto che le prime luci del giorno mi facciano compagnia. Nell’attesa, mentre come sempre troppi pensieri affollano la mente ingarbugliandola e stressandola fino allo sfinimento, mi rendo conto che ormai mancano pochi giorni al compleanno della mia cucciola….sono trascorsi già 5 anni….eppure mi sembra ieri che l’ho presa la prima volta tra le mie braccia! E come per miracolo i pensieri si fermano, la mente è sgombra, perché impegnata con i ricordi che affiorano.
 
Era una sera d’estate, nella mia Calabria, seduti al tavolo di un ristorante nel borgo antico con il Castello maestoso e imponente che osservava, con gli amici si rideva e si scherzava e si beveva troppa birra, raccontavamo i retroscena del nostro recente matrimonio, di Filomena e Maurizio che arrivarono in ritardo, di Gabriella e Carmela che pazze andarono prima a far le turiste a Roma non immaginando che sarebbero state accerchiate dai black block, e di me sposa tranquilla e sempre sorridente fino all’entrata in chiesa, perché in quel momento l’assenza di mio padre era diventata un boato assordante. La serata scorreva liscia e l’atmosfera era calda. Dopo il ristorante si va al locale sulla spiaggia, rum e pera per tutti, sigarette, musica che frastornava. Verso le 3 di notte decidiamo di andar via e saluto l’allegra brigata dicendo “noi andiamo a concepire” (una frase buttata lì così per caso, un modo “elegante” per intendere ben altro)….era il 14 agosto 2008 e quella notte venne concepita Eleonora.
Scoprire di essere incinta è stata la cosa più eccitante della mia vita, una botta di adrenalina pazzesca! E sorrido ancora oggi nel ricordarmi di averlo scoperto a Roma, in uno dei bagni di un palazzo in via Torino 45, in compagnia di una collega euforica quasi quanto me che saltava come un grillo e mi abbracciava e mi baciava!
Quei 9 mesi sono passati in fretta, senza grandi disagi o problemi, è stata una gravidanza quasi perfetta. Ogni ecografia era emozione allo stato puro, sentire quel battito veloce come lo scalpitio di un cavallo, vedere la pancia crescere e accarezzarla, sentirla muoversi dentro di me, fantasticare e chiederci di che colore sarebbero stati gli occhi, i capelli, a chi avrebbe somigliato, scoprire che era una femminuccia e proporre di chiamarla Eleonora come la Duse l’attrice teatrale che tanto  mi aveva affascinato per bellezza ed eleganza e perché compagna di D’Annunzio. E poi i giorni del ricovero in ospedale, la paura del dolore, di non riuscire a farla nascere, qualche piccola complicazione ad aumentare l’ansia, e la paura di non essere una brava madre….paure inutili, perché Eleonora il 10 maggio 2008 nacque ed era bellissima e tutto fu naturale e spontaneo. Aveva le mie labbra, il mio mento, le ciglia lunghissime come le mie, era piccola, un fagottino, e mi piaceva farla addormentare su di me come un piccolo koala. Nulla poteva darmi gioia più grande del tenerla stretta a me.
Da allora sono trascorsi 5 anni. Ormai è una piccola donna, fanatica e civettuola, con un carattere a dir poco tempestoso, dolcissima solo con mamma e papà, piccola streghetta con tutti gli altri. E sta crescendo, ora è ancora una bambina, ma presto sarà un’adolescente e poi una donna ed io ho paura. Paura che possa svendersi, paura che possa un giorno decidere di uniformarsi agli altri e non ragionare con la sua di testa, paura che possa prendere strade che scottano, paura che soffra. Ma io sarò sempre li, accanto a lei, a proteggerla, perché un figlio è un appendice di te stesso, è una parte di te che mai niente e nessuno può portarti via, è il dono più prezioso che la vita concede agli uomini.
 
 
Il chiarore si sta per diffondere e i ricordi non si sono placati, sono tutti lì che scorrono davanti ai miei occhi. Ed io me li godo nel silenzio dell’alba che sta per nascere.

lunedì 22 aprile 2013

Ritratti.


Nasce come una liberazione "catartica" l’idea dei ritratti.
Piccoli affreschi di sensazioni ed emozioni, vissute, lette, toccate con mano, idealizzate, fantasticate, sfumate, odiate ed amate, che realmente sono entrate a far parte della mia vita, che continuano a farne parte integrante o che ne entreranno a far parte.
Dopo anni di blog, forum, chat, social network, esperienze estemporanee e spesso non ragionate, tutto è rimasto impresso in me come se fossi una spugna e da qui nasce l’idea di rilasciare piano piano questi contenuti, così come sono stati filtrati dalla mia percezione.
Sara per me occasione per ripercorrere le tracce di un passato non molto lontano, e di riflessione su un presente che a volte mi assale all'improvviso e mi stordisce.

 

sabato 17 novembre 2012

Parole dettate dalla Rabbia.

I figli ti cambiano la vita.
Nel momento stesso in cui l'hai espulsi dal tuo ventre contratto cambiano le tue prospettive. Cambiano le angolazioni da cui guardare il mondo.
Cambiano le priorità. Cambi tu.
E allora ti rendi conto che nel "quotidiano" ti metti da parte, metti da parte le paure, l'orgoglio, e tutto ciò che scorre attorno a te lo assorbi diversamente, non scivola addosso perchè niente può scivolarti addosso, ma lo guardi appunto da una prospettiva diversa.
I figli ti fanno crescere emotivamente.
E per loro vai avanti, anche quando qualcosa o qualcuno ti ferisce. E la fertita guarirà, basterà un sorriso di tuo figlio. Resterà la cicatrice a ricordarti il dolore, il tonfo al cuore che hai sentito, le gambe molli, il battito accellerato, il sangue che impetuoso circola nelle vene come un fiume che sta per esondare.
Ma i figli a volte guariscono un animo offeso dagli schiaffi della vita, dalla viltà dell'essere umano, dalla cattiveria, dalla crudeltà, dalla solitudine. E ti danno la forza di ridare a tua volta uno schiaffo alla vita.
E' sempre così? no, non è sempre così....non per tutti.

giovedì 25 ottobre 2012

Un istante di passato.
 
Non mi capita mai di pensare al passato, a chi ha fatto parte della mia vita.
Chi ha condiviso con me un tratto del mio cammino terreno è accantonato in angoli della memoria difficili da raggiungere. Troppo dolore. Troppe lacrime in quei giorni ormai lontani.
Ma….negli ultimi giorni uno spiraglio si è aperto. All’improvviso e per pochi istanti. E si è richiuso subito, quello spiraglio che si affacciava su un angolo particolarmente doloroso.
Era il 1992, giugno ’92, la scuola era finita, io ero una ragazzina che aveva da poco imparato il significato della parola “morte”, e la morte era scesa in me, la morte dell’entusiasmo, della felicità, della consapevolezza che mai più avrei condiviso successi e delusioni future con colui che la vita me l’aveva donata.
Ma uno squarcio di luce arrivò in me, una luce apparente, ma questo lo scoprii solo anni dopo, in quel momento mi sembrava la luce della speranza e di un amore da scoprire. Mi innamorai, come si innamorano tutte le adolescenti. Non ho mai pensato di avere sbagliato, nella vita si fanno tanti sbagli, e ce ne accorgiamo solo quando ne paghiamo le conseguenze. No, quello non fu uno sbaglio, perché quella storia mi lasciò qualcosa di grande, di intenso, di forse eterno, e che è ancora in me.
Era un tipo strano, questo è certo, diverso dagli altri (io e la diversità andiamo di pari passo), con passioni e interessi diversi. Nella nostra comitiva tutti ascoltavano De Andrè, Guccini, De Gregori, simboli allora di un orgoglio comunista che aleggiava in noi. Lui si distingueva, amava alla follia Battiato e mi indottrinò…..così definiva il suo volermi avvicinare al cantautore siciliano….ed io lo lasciai fare, e non perché solitamente “accetto” o “faccio mio” ciò che piace a chi mi sta accanto, non sono il tipo, non fosse altro perché mi piace stuzzicare giocando a fare il bastion contrario e principalmente perché sono dotata di un cervello "quasi" funzionante che mi impedisce di emulare o farmi imboccare cose che non mi appartengono solo per amore dell'amore. Del resto amo distinguermi e non conformarmi.
Quando una storia finisce lascia, normalmente, solo un bagaglio di delusioni e amarezza, di ricordi felici e dolorosi, di giorni pieni di risa e di pianti, di amore e di sesso, a me ha lasciato solo un bagaglio molto più intenso, molto più duraturo e consapevole. A me quella storia ha lasciato in eredità solo la passione per il Maestro,  il resto è rimasto lì in quell’angolo in fondo alla memoria e lì rimarrà per sempre. Solo per un istante l’altra sera i ricordi sono sfuggiti al controllo, e sono affiorati, il ricordo di quei primi mesi e del primo ascolto e dell'orizzonte che mi si è aperto.
Fu in quei primissimi mesi di relazione che mi avvicinai al mondo Battiato.
Mondi lontanissimi, questo fu il primo album che ascoltai e fu subito amore. Il brano che mi conquistò più di tutti fu  L’animale, la sentivo mia quella canzone, mi era entrata fin nelle viscere e mi ci aggrappavo nella più totale disperazione.
 
Vivere non è difficile potendo poi rinascere
cambierei molte cose un po' di leggerezza e di stupidità.
Fingere tu riesci a fingere quando ti trovi accanto a me
mi dai sempre ragione e avrei voglia di dirti
ch'è meglio se sto solo ...
Ma l'animale che mi porto dentro
 
non mi fa vivere felice mai
 
si prende tutto anche il caffè
mi rende schiavo delle mie passioni
e non si arrende mai e non sa attendere
e l'animale che mi porto dentro vuole te.
Dentro me segni di fuoco è l'acqua che li spegne
se vuoi farli bruciare tu lasciali nell'aria
oppure sulla terra.
 
In poco tempo diventai una cultrice dell’arte di Battiato, ascoltai ogni suo album, amai le sue canzoni, alcune le feci mie, alcune mi accompagnarono nei momenti più bui della mia giovane vita, alcune mi fecero sorridere per la stravaganza o per le sonorità inascoltabili, altre mi fecero piangere per la gioia, altre mi lasciarono indifferente, altre ancora non ho saputo comprenderle per l’astrusità del testo. Ma ancora oggi sono qui, come 20 anni fa, ad ascoltare la sua arte, sempre intensa, in continua evoluzione, oggi come allora leggo i suoi testi e ne resto affascinata, poesie che possono germogliare e maturare solo in un animo straordinariamente sensibile e colto.
Sono consapevole che la sua arte non arriva dovunque, non è quello che vuole lui, ed io me ne compiaccio. E ne godo.
Adesso che è uscito il suo nuovo lavoro mi inebrio con sonorità nuove che si mescolano a quelle del passato, con testi tutti da studiare e da leggere e rileggere più volte….ma ce n'è una che più di tutte mi fa tremare, un unica canzone che sin dal primo ascolto mi è entrata dentro, l'unica che mi commuove fino alle lacrime...Un irresistibile richiamo....
 
 
Era magnifico quel tempo, com'era bello,
quando eravamo collegati, perfettamente,
al luogo e alle persone che avevamo scelto,
prima di nascere.
Il tuo cuore è come una pietra coperta di muschio,
niente la corrompe.
Il tuo corpo è colonna di fuoco affinché
arda, e faccia ardere.
Le mie braccia si arrendono facilmente
le tue ossa non sentono dolore.
I minerali di cui siamo composti,
tornano, ritornano all'acqua.
Un suono di campane
lontano, irresistibile, il richiamo
che invita alla preghiera del tramonto.
Gentile è lo specchio, guardo e vedo
che la mia anima ha un volto.
Ti saluto divinità della mia terra...
il richiamo mi invita.
 
 
 
 
Ciò che mi piace di Battiato? al di la delle valutazioni che gli estimatori di Battiato fanno, leggendo nei suoi testi citazioni a Dante, Teresa d'Avila, a filosofi, personaggi storici o mitologici, ognuno di noi può leggervi qualcosa, ognuno di noi leggendolo e lasciandosi andare ascoltando la sua voce pacata e le sonorità che la accompagnano può toccare e scoprire corde del proprio animo, magari sepolte, magari dimenticate, o semplicemente mai scoperte. Per me la grandezza di Battiato è questa, attraverso la sua arte si aprono porte inesplorate in noi stessi. 
 
 
 

mercoledì 10 ottobre 2012

Una telefonata.
Sei tranquilla o almeno apparentemente lo sei. Non puoi permetterti di mostrarti sofferente, tanto nessuno capirebbe. La vita scorre tra la solita quotidianità ed attimi di solitudine che riesci a dedicarti, durante i quali ti fai mille domande e ti chiedi perché.
Ma continui a vivere e sperare e cerchi di dimenticare.
Poi arriva una telefonata inattesa che ti catapulta in un passato vicino.
Ti dicono che bisogna rifare un prelievo, perché dall'esame istologico.....oddio, spengo la tv, mi siedo, tremo, penso a Principessa....risulta che alcune parti della placenta non sono state espulse, c'è stata un'emorragia il giorno prima e potrebbero essere andate via col sangue che lava ogni cosa, ma devono essere sicuri.
In qualche modo ti tranquillizzi, smetti di tremare, le guance si colorano di nuovo e pensi che domani andrai a fare il prelievo.
Arriva domani.
Sei davanti alla posta del reparto e ti senti di nuovo le gambe molli. Stanza n° 1 letto n° 3. Lo trovi vuoto, nessuno oggi occupa il tuo letto. E all'improvviso ti assalgono i ricordi.
I giorni del ricovero. Le mille domande fatte ai dottori che erano ormai stanchi di sentirsi chiedere se davvero la gravidanza doveva essere interrotta; le visite di Principessa che mi riempivano di gioia; e l'attesa del raschiamento, durata 24 ore.
E poi arriva il momento. Pensi di essere pronta, sai già da settimane che quel bambino non avrà la fortuna di nascere, ma il raschiamento è la fine di ogni sogno.
E ti portano nel blocco delle sale operatorie e senza vergogna noti subito che "per fortuna" non c'è nessun travaglio in atto, poi passi davanti alla Stanza Viola con i fiori dipinti sul soffitto, quella in cui è nata Principessa, ed infine arrivi davanti alla sala operatoria.
Ci saranno almeno 6 persone, noti con occhi spaventati, tutti parlano amabilmente di assenteismo sul posto di lavoro, e tu sei lì da sola con te stessa, poggi per l'ultima volta la mano su una pancia inesistente, ma sai che lui è lì ancora anche se per poco.
Un fulmine e pensi che almeno sei stata graziata, era troppo piccolo, non si vedeva nulla, niente battito e quindi nessun volo pindarico della mente.
Però....però soffri, ti senti trafitta dal dolore, dalla sconfitta, e le lacrime girano negli occhi ma non scendono a rigare il viso.
L'anestesia. Arriva anche la paura, paura di non rivedere Principessa, di non potere più giocare con lei, di non vederla crescere, di non potere essere un giorno orgogliosa della donna che diventerà, ma il tempo per farsi assalire dalle emozioni è finito, il soffitto inizia a girare vorticosamente e tu ti abbandoni a quello che sarà.
 
In pochi secondi ripercorri quello che hai vissuto in 3 giorni, prodigi della mente! Nel frattempo però sei arrivata davanti alla sala prelievi e ti scrolli di dosso tutto, entri, sorridi e una capo sala gentilissima ti spiega tutto, ti tranquillizza come fa una mamma quando vede la propria figlia spaventata.
Esci dal reparto sollevata, forse, in fondo in fonfo, rivivere quei momenti in qualche modo ti ha sollevata, ti sei liberata di un demone. E la speranza ritorna.

venerdì 29 giugno 2012


Nelle scorse settimane la mia Principessa è stata male. Abbiamo vissuto per 10 giorni chiuse in casa a combattere con febbre, vomito, diarrea, stanchezza, inappetenza e antibiotici dal gusto orrido. Sono stati giorni snervanti. Stancanti. Deliranti. Giorni in cui per l’ennesima volta mi sono ritrovata a pensare a quanto sono fortunate le mamme che lavorano. Ebbene si. Una donna/moglie/mamma che lavora arriva alla fine della giornata sicuramente meno stressata e nervosa rispetto a una donna/moglie/mamma che ha liberamente scelto di non lavorare, e di questa cosa ne sono fermamente convita, anche in virtù della mia personale esperienza.
Dopo la nascita di Principessa ho avuto modo di lavorare per alcuni mesi, mesi in cui la piccolina è stata anche male e che è stata forzatamente lasciata ai nonni perché non potevo assentarmi in ufficio. Ricordo quei mesi quasi con nostalgia, perché l‘impegno quotidiano mi costringeva, piacevolmente, a prendermi cura di me, a vestirmi sempre in un certo modo, ad essere perfetta o quanto meno presentabile, ma cosa fondamentale mi costringeva a dovere staccare mentalmente la spina, una volta entrata in ufficio io dovevo concentrarmi sul lavoro e le pause che mi concedevo le trascorrevo chiamando i nonni per avere notizie della mia bambina ma soprattutto mi dedicavo ai colleghi. Inevitabilmente corpo e mente erano lontani da casa, dai problemi, dalle preoccupazioni. Stavo meglio. Tornavo a casa la sera stanca dell’alzataccia all’alba e del viaggio in treno, ma ero carica e pronta ad affrontare il resto della giornata dividendomi tra famiglia e pulizie. Stavo meglio, ero appagata, soddisfatta, sempre in ordine, ma soprattutto io ogni giorno staccavo la spina.
Adesso non è più così. Ho scelto di stare a casa, e non ho pentimenti. Ma ci sono giorni in cui mi sento soffocare. Giorni come le scorse settimane, quando il mio unico e perpetuo pensiero era Principessa che non stava bene. Quando alle 5 del pomeriggio mi rendevo conto di non essermi ancora lavata il viso. Quando senti che il mondo in cui hai scelto di vivere è talmente immenso di emozione ma altrettanto privo di vie di fuga. Quando ti guardi allo specchio e ti rendi conto che l’immagine che vedi riflessa nello specchio non ti appartiene perché non sei tu quella con il viso tirato, le occhiaie, le sopracciglia incolte, i capelli bianchi che spuntano da una criniera assolutamente non in ordine! Non sei tu quella donna che sogna solo di andare a letto e dormire ininterrottamente fino al giorno dopo!
 Ed in quei giorni ho detestato, quasi odiato, quelle donne che ti guardano come se fossi una pazza quando dico che sono stanca e stressata. Ho detestato, quasi odiato, il senso di timore che avevo quando provavo a lamentarmi con amici o parenti del mio stare rinchiusa in casa. Perché la verità è che la donna che non lavora non ha considerazione alcuna da parte degli altri. La donna che non lavora per l’opinione comune non ha diritto di lamentarsi di stanchezza, mancanza di riposo, poca cura di se stessa, mancanza di tempo. Eppure è così. Una donna/moglie/mamma che non lavora non sempre è libera come l’aria, non sempre ha il tempo per uscire, fare shopping, andare dall’estetista, ma il più delle volte è concentrata sui suoi figli, sul marito, sulla casa e quasi mai su se stessa.
La donna/moglie/mamma che non lavora è un contenitore di altruismo, di amore totale e incondizionato verso gli altri e non ha spazio per pensare a se stessa o esclusivamente a se stessa.  E per questo va rispetta nello stesso identico modo in cui si rispetta una donna che lavora. La considerazione deve essere identica e messa sulla bilancia utilizzando pesi identici. Perché fare la mamma e la moglie a tempo pieno è un lavoro che si sceglie liberamente di intraprendere, è una carriera senza scatti di anzianità e retribuzione, è un lavoro a tutti gli effetti, che non comporta l’ausilio di baby sitter, tate, nonni, donne di servizio, ma si sceglie di farlo da sola, e comporta fatica.

Quando mi chiedono che lavoro faccio io da qualche tempo ormai non rispondo più che sono una casalinga, ma rispondo dicendo che il mio lavoro è fare la mamma e la moglie. E non me ne vergogno più. Anzi mi sento orgogliosa, e in alcuni casi mi sento anche un gradino più in alto rispetto ad altre donne.

giovedì 7 giugno 2012


Il momento giusto.

Cresciamo con l’idea che quando arriverà il momento giusto per sposarci e per avere dei figli lo riconosceremo. Ma sarà davvero così? Secondo me no.

Quando mi ha proposto di sposarlo eravamo precari entrambi, ed eravamo spaventati dall’idea di affrontare un matrimonio senza la certezza del posto fisso. E così abbiamo deciso di rimandare di un anno. Un anno dopo eravamo ancora precari ma consapevoli del fatto che il momento giusto, ovvero la firma di un contratto a tempo indeterminato, non sarebbe arrivato presto. E così abbiamo fatto il nostro salto nel buio. Pentita? Assolutamente no, pur sapendo che quello che probabilmente quello non era il momento giusto.
Dopo pochi mesi dal matrimonio scoprire di essere incinta è stato assolutamente travolgente, consapevoli che quello era davvero un salto nel buio immenso, io ancora precaria e senza nessuna possibilità di assunzione, come avremmo vissuto? Che futuro avremmo assicurato a nostro figlio? Ma quando abbiamo sentito per la prima volta il battito del suo cuoricino tutte le paure sono svanite, e in noi ci sono state solo certezze, creare una nostra famiglia, dare la vita, sapere che presto un’appendice di noi ci avrebbe riempito le giornate, le nottate, i pensieri, ogni singolo secondo della nostra vita, un rapporto esclusivo e onnipotente che mai niente e nessuno avrebbe spezzato. Pentita? Assolutamente no, pur immaginando che quello non era il momento giusto.
Da qualche mese il desiderio di un altro figlio si è impossessato di noi.
In questi mesi ci sono state delusioni periodiche, contrattempi, pensieri e tanta stanchezza e tanto sonno, ma la voglia è ancora forte, è lì radicata in noi ed è tangibile, la accarezziamo ogni volta che vediamo una donna col pancione, ogni volta che vediamo un piccolino che ci sorride e gorgheggia, come se quei piccoli gridolini fossero un’esortazione a non mollare ma a continuare a sperare e aspettare. E’ il momento giusto? Assolutamente no, io non lavoro, ho scelto di stare a casa e di occuparmi della mia famiglia e della mia piccola principessa, sappiamo che sarà dura, che dovremo stringere la cinghia, che ci saranno difficoltà, ma in questi anni ho imparato che se avessimo aspettato l’arrivo del momento giusto non ci saremmo sposati e non avremmo una figlia. So per certo che se avessimo aspettato il momento giusto ora non avremmo quello che abbiamo e che ci riempie di gioia.

Il momento giusto per certe cose non esiste….è una favola, o forse dovrei dire una bugia che l’uomo si racconta per evitare quel salto nel buio che fa paura.